Parlando di me - Daniela Domenichini

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Parlando di me

"L’arte è qualcosa di reale che non c’è"
Parlando di me


Si inizia  prendendo in mano una matita, poi si passa al pennello e ci si trova pian piano dietro la complessa architettura dei chiaroscuri, della prospettiva e di tutti gli artifizi della tecnica.
Passare dallo scarabocchio al dipinto è un percorso pieno di insidie, ci si può trovare di fronte ad enigmi possenti quali i fenomeni della materia e quelli dello spirito, così simili e allo stesso modo complessi: la dualità della persona, la ricerca dell’oggettivo e l’imposizione del soggettivo.
Passo in rassegna i miei diversi stati d'animo : mi sembra che ciascuno di essi contenga a suo modo un invito ad agire, e, al tempo stesso, l'autorizzazione ad attendere e persino a non fare niente.

Osservo più da vicino: scopro movimenti iniziati, ma non portati a termine, l'indicazione di una decisione più o meno utile, ma non la costrizione che esclude la scelta.

Riallacciandomi a Freud, mi riconosco nella analisi  secondo la quale l’artista,  per eternare l’atto creativo, elude se stesso e gli altri; crea una finzione, una bugia prolungata per il prossimo. Beandosi della stessa bellezza dell’opera che ha creato, s’illude di ricevere una divinizzazione terrena.
Ma quando l’artista comprende il significato e il senso stesso del suo cercare, la menzogna non può più essere parte di lui se non come meccanismo stilistico: l’arte si spoglia del mero gioco narcisistico e abbraccia l’uomo nella sua più intima natura.
Io sto lottando per trovare la verità in me stessa e nella mia creatività.  Non uso per me il termine “arte”, è una parola troppo impegnativa, la si deve avvicinare con molta prudenza,  con il timore che ci incute tutto ciò che è misterioso.
Tuttavia, la costrizione che esclude la scelta l’ho incontrata relativamente al mio interesse per la creatività, e questo mi assolve nei periodi di dubbi. E’ una costrizione volontaria, a ben vedere!
A volte accettata con in-sofferenza,  con rabbia, ma che non smette di portarmi a scoperte nuove, su di me, sul godimento di fruitore di arte, sul piacere dello studio e …sul mio essere “artigiana”.
Sì, l’arte è una ricerca sofferta (devi decidere, fare delle scelte, assumerti delle responsabilità…), ma rappresenta anche un coinvolgimento totale, perché va a toccare quelle energie che hanno necessità di manifestarsi.. Che poi questa abbia o meno una certa valenza, sono il consenso e il consesso in cui si agisce a stabilirlo e non può essere lo scopo finale.
Realizzare un ritratto che rispecchiasse il sentimento del soggetto, mi ha sempre dato emozione, l’approvazione che suscitava mi inorgogliva ma quello che veramente mi catturava era realizzare uno spessore di colore solcato e vivo, che mai mancava. Su una piccola area, assolutamente non significativa nel contesto dell’opera, solo un piccolo sfondo che nessuno osservava, oppure un brandello di stoffa,  ebbene quello era il senso del tutto.
Nel corso del  mio percorso sono passata attraverso una pittura ad olio molto materica,  che rendevo ancora più consistente con inclusioni di sabbia lavica, pomice, brandelli di lamiera arrugginiti…
Ora ho eliminato il pennello  e scelto di lavorare direttamente con materiali metallici. Trasformo opere delicate su seta in sculture solide imprigionate nella resina,  incisioni su carta diventano “altro” svelate attraverso il loro “alter ego” di solido plexiglas.

Vorrei liberare la qualità energetica e la potenza espressiva del rame, materia viva che risponde al fuoco, all’aria e all’acqua.
Ribadire  la qualità energetica e la potenza della materia pittorica, senza più riferimenti descrittivi, rivolgersi all’essenza, a modulazioni, a ritmi che traducono direttamente l’emozione.
E’ bello dialogare con essa, liberando l’istinto, focalizzando lo sguardo non più sulla apparenza figurale ma sui ritmi (gli andamenti, le scivolate, l’arricciarsi, il contaminarsi in tessiture semplici o complesse, a volte completate da elementi interattivi) come sollecitazioni a un sempre più attento ascolto delle risonanze e delle modificazioni che colore, movimento, forma, materia, luce producono in noi.

Ho sempre cercato di realizzare opere nelle quali affiorasse qualcosa di spontaneo, se vogliamo anche di automatico, ossia: non mi metto e “dipingere” sapendo già quello che farò, ma quasi sempre aspettando che mi venga suggerito – dal mio essere psichico e fisico – quell’insieme di forme e di colori che daranno vita a uno “spazio interiore” che poi diventerà l’opera realizzata.

Dove la luce  giunga filtrando attraverso la matericità di oggetti solidi scivolando tra i solchi di
corrosione impressi su di essi dagli acidi.  Il metallo , le resine, gli acidi, ricordano i processi alchemici, vi è una traccia di quel passato che aleggia nell’eterno presente in cui siamo immersi.

Come ha affermato Simon Weil (1909-1943, filosofo francese): “L’arte e’ un tentativo di trasferire in una quantità finita di materia, plasmata dall’uomo, un’immagine della bellezza infinita dell’universo intero. Il tentativo riesce se quella porzione di materia non nasconde l’universo, ma al contrario ne svela la realtà tutto intorno”.

La “materia” concepita come sorta di “sipario” oltre il quale vi è la forza espressiva dello spirito e della memoria. L’energia è il mio tavolo, la mia tela, il metallo che diventa “altro” sotto le mie mani, il mio pensiero, il mio sentimento.

Il rame, lo zinco, il piombo: non sono soltanto un supporto materico.  Certo è che questi metalli da soggetto diventano oggetto, ossia materiale, quando ne faccio uso, li manipolo.

Conservano tuttavia la memoria di sé come soggetto, e come valore aggiunto inglobano la memoria di me che faccio riaffiorare in loro ricordi,  memorie,  aliti vitali di cui faccio parte.

Così anche quando poco o niente affiora, quei ricordi sono in essere, sono lì pronti a riemergere come parte importante di ognuno di noi, come “prigioni” che trovano la forza di liberarsi non appena siamo pronti a riconoscerli.
La mia opera è esercizio con linguaggi in  pratica diversi,  al cui interno si creano innovazioni che poi trasmigrano nel lavoro incisorio, il quale ritorna sotto forma di "altro" nel corpo dell’opera.

La bellezza che io vedo nelle materie corrose! Un legno sbiancato dal mare  è la più inarrivabile delle sculture, un pezzo di lamiera arrugginita dal tempo e dalle intemperie ha una resa di colore che nessuna arte può conferire. L’osso di seppia svela la materia interna, le sue strutture lamellari suggeriscono forme quasi magiche.

E  l’ineluttabile processo d’alterazione, che porterebbe alla fine, diventa invece una rinascita.
I fori e le lacerazioni che non posso fare a meno di infliggere ai materiali usati, siano ceramiche, tele o metalli, sono finestre attraverso i quali mi affaccio a curiosare, con occhi di meraviglia infantile, chi sono e dove sono,  con il desiderio  di indagare quel mistero spirituale che vi è al di là di ogni cosa.


Alla base c’è la vita con tutte le sue cicatrici più o meno evidenti, le diverse emozioni, belle e brutte che ci spingono oltre noi stessi.

Non a caso lavoro sulle lacerazioni, sulla sostanza "sottostante" e sulle patinature, cercando di  restituire alla materia tutta la sua carica espressiva e comunicativa.

L’arte è agire nella vita per conoscerla meglio, darle un significato ed un senso.
Andare oltre l’apparenza immediata, indagare i significati più nascosti alludendo ad una realtà "altra",  più significativa di quella immediatamente percepibile e,  in definitiva, vivere meglio.

Oggi viviamo una cultura virtuale,  caratterizzata da una sempre più consistente perdita di humus, a vantaggio di un prodotto omologato, omogeneizzato,  preconfezionato.

L’arte visiva, letteraria o musicale, dovrebbe innescare una progressiva smaterializzazione del sentire, un attraversamento della materia sensibile - ‘trans’ e‘trans-portare’ oltre la propria sensibilità, ‘trans’e ‘trans-vedere’ al di là della materia –  provocando una continuità senza soluzioni, senza diaframmi e senza nodi o grumi, tra psichico e fisico, tra spazio intimo e spazio esterno di accadimento.

Forse
il significante è la ricerca stessa
,  il fine al quale si tende è  (e deve essere) sempre qualche passo più avanti.


Daniela Domenichini

 

www.danieladomenichini.it
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